Dal Settimanale della Diocesi: Ginepro, d.Augusto, Associazione
(Dal Settimanale della Diocesi, n.35/2020 – di Michele Luppi)
«La gioia è tanta nel vedere il San Benedetto finalmente donato alla Diocesi, ma come mi ha ricordato Ginepro solo pochi giorni fa: questa è solo la prima pagina di un libro ancora tutto da scrivere». A parlare dall’altro capo del telefono è don Augusto Bormolini, parroco di Tresivio. C’era anche lui, oltre alla famiglia Botta, al vescovo Oscar e a don Sergio Tettamanti, rettore del Santuario del Soccorso, il 3 settembre scorso seduto al tavolo dello studio notarile di Como in cui è avvenuta la donazione dell’Abbazia di San Benedetto in Val Perlana alla Diocesi di Como. Un nome, quello di don Augusto, che insieme proprio a quello di fra Ginepro (al secolo Franco Riva), di Guido Della Torre, di tanti sacerdoti e laici soci dell’ “Associazione Amici di San Benedetto” è strettamente legato alla storia che vi stiamo per raccontare e ai tentativi di far rinascere un luogo così carico di spiritualità dopo secoli di abbandono.
Racconta don Augusto: «Tutto ha avuto inizio nel giugno del 1975 quando, alla vigilia della nostra ordinazione presbiterale, il rettore del seminario decise di portare i futuri novelli all’Abbazia dell’Acquafredda di Lenno per il tradizionale ritiro che precede la consacrazione. A predicare gli esercizi fu chiamato don Peppino Cerfoglia, parroco di Villa di Chiavenna e grande studioso di storia. Fu lui a condurci, un pomeriggio, lungo la Val Perlana fino al luogo dove si trovavano i resti di un’antica Abbazia benedettina a noi sconosciuta. Eravamo in tredici seminaristi; tra noi c’era anche Oscar, giovane originario di Lenno, l’unico tra tutti ad aver già sentito parlare di quel luogo ormai in stato di abbandono. Ricordo che i larici circondavano ciò che restava delle costruzioni e dal bosco si riusciva ad intravedere solo un pezzo del campanile».
Quel giovane seminarista di cognome faceva Cantoni e, 45 anni dopo, si sarebbe ritrovato al fianco di don Augusto in quello studio di Como per ricevere la donazione della struttura nel frattempo parzialmente recuperata.
È subito dopo l’ordinazione, ricorda ancora don Augusto, che entra in gioco fra Ginepro, “la persona senza cui oggi non saremmo qui a parlare di San Benedetto”.
Don Augusto e fra Ginepro, un anno più grande del sacerdote, erano molto amici fin dai tempi del seminario. «Al momento dell’ordinazione diaconale – continua don Augusto -, scelse di lasciare il seminario perché chiamato verso una scelta di vita monastica. Ricordo che nell’estate del 1974, quando Ginepro andò a Roma per entrare nel monastero trappista delle Tre Fontante, io e don Marco Folladori lo accompagnammo a piedi partendo da Como».
La permanenza a Roma dell’aspirante monaco durò solo pochi mesi per via di un successivo trasferimento in un’altra Abbazia benedettina quella di Tamié nella Savoia francese. È qui che Ginepro sentirà parlare per la prima volta dell’Abbazia di San Benedetto in Val Perlana nelle lettere inviate da don Augusto nei mesi successivi alla sua ordinazione e a quella “provvidenziale” scoperta.
«Alla prima occasione possibile, non ricordo se fosse il ’76 o il ‘77 – continua don Bormolini – fra Ginepro ottenne dai superiori la possibilità di tornare a casa (è originario di Rovenna, frazione di Cernobbio ndr) per alcuni mesi e insieme salimmo al San Benedetto. Ricordo ancora il suo stato d’animo e la sua agitazione, muovendosi tra gli alberi che erano cresciuti a pochi metri dalle mura dell’edificio inglobando l’intera struttura. Dopo una lunga ricerca trovammo una fonte d’acqua, una piccola sorgente, e Ginepro mi fece subito capire che avrebbe desiderato andare a vivere lassù. Nei giorni successivi andò ad informarsi al catasto per cercare di capire di chi fossero quei terreni. Scoprimmo che una parte della chiesa, circa la metà, era di proprietà di don Anacleto Brachetti, anziano sacerdote che si era ritirato a Lenno. Contattato accetto di cedermi la sua quota (fra Ginepro, essendo monaco, non poteva avere proprietà intestate a lui) donando la cifra ricevuta alle suore del monastero benedettino di Grandate».
È proprio in qualità di proprietario di una parte della chiesa che don Augusto ha partecipato all’incontro dal notaio donando, contestualmente alla famiglia Botta, la sua parte di edificio alla Diocesi di Como.
Questo perché parallelamente anche Giovanni Botta aveva portato avanti una delicata e attenta operazione di acquisizioni di parcelle di terreno nel tentativo di riportare l’intero complesso sotto un’unica proprietà, condizione necessaria per qualsiasi progetto di recupero.
Ma la strada da percorrere erano ancora lunga.
Fra Ginepro dovette successivamente tornare a Tamié, ma nel frattempo, grazie anche alla collaborazione di suo cognato Guido Della Torre, di tanti sacerdoti della diocesi, fu fondata l’Associazione Amici di San Benedetto, con lo scopo di procedere al completo recupero della struttura.
«Per anni centinai di persone, provenienti da decine di parrocchie della Diocesi di Como e non solo, si ritrovano per intere giornate a lavorare per ricostruire, pietra su pietra, una parte consistente della vecchia Abbazia. A tutti loro va il grazie più grande!» ricorda don Augusto.
Tra loro c’era anche don Pierino Riva, oggi parroco di Menaggio, che fu membro dell’associazione e passò diverse giornate lavorando al S. Benedetto. «In quegli anni, parlo del 1985-1987, ero vicario a S. Agata – ci racconta don Riva – e con i giovani andammo spesso a lavorare all’Abbazia. Erano davvero occasione molto belle per stare insieme, lavorando e pregando. Non si trattava solo di ricostruire un luogo, ma anche di riscoprire il gusto di una spiritualità, quella monastica, fatta di silenzio, preghiera, lavoro e vita fraterna, che ha tanto ancora da dire ieri come oggi».
Nella seconda metà degli anni ’80 lo stesso Ginepro otterrà dai suoi superiori la possibilità di tornare proprio al San Benedetto per dar vita ad un’esperienza di vita monastica eremitica. «Aveva ricostruito una cascina – racconta don Augusto – con una stalla: c’erano due mucche, un asino e una ventina di capre. Alla domenica fra Ginepro scendeva per la S. Messa all’Abbazia dell’Acquafredda e saltuariamente per recuperare viveri e generi di prima necessità».
Don Pierino Riva ricorda che, oltre al lavoro, una volta al mese venivano organizzati dall’associazione anche alcuni incontro di preghiera e spiritualità.
«Pensando alla mia esperienza a San Benedetto, proseguita anche durante gli anni in cui ero parroco a Cavallasca, – continua il parroco di Menaggio – mi piace ricordare una delle giovani di Sant’Agata, Marta Fagnani, tra le attive nel lavoro. Lei oggi è monaca trappista in Siria e non posso che collegare la maturazione della sua scelta vocazionale anche ad un luogo come il San Benedetto e all’esperienza vissuto insieme a tantiۚ».
Con il passare degli anni si arrivò però ad un punto di stallo nel progetto di recupero della struttura e la stessa associazione entro in una fase di difficoltà e crisi, legata anche ai rapporti con la proprietà.
Così nei primi anni duemila Ginepro deciderà di tornare a Tamié (dove successivamente verrà ordinato sacerdote e eletto abate) e, successivamente, anche l’associazione verrà sciolta. Sembra la fine della storia, il punto finale. Ma così non è stato perché i contatti tra la famiglia Botta e la diocesi non si sono mai interrotti, così come la voglia di tanti nel rivedere San Benedetto rinascere. La firma del 3 settembre segna così solo un nuovo inizio. L’ennesimo per un luogo di fede che ha attraversato i secoli.